La società urbana produce solo conflitti e non soddisfa più le aspettative di tanti giovani stressati dal caos cittadino, dal distanziamento sociale, e dagli obblighi per contenere una epidemia che sappiamo com’è partita e non sappiamo come finirà.
Nell’ultimo periodo molte facoltose famiglie anche causa della pandemia cercano la tranquillità che i condomini e la città non possono dare, desiderano lasciare la città e recuperare il legame con il mondo di una volta.
Le famiglie più in vista, i più facoltosi, sempre con più insistenza mi chiedono: “perché non si possono realizzare ville di lusso sui terreni agricoli?”; cercheremo di essere più esaurienti possibile sul tema immobiliare, di certo è giunto il momento di restaurare e recuperare gli antichi immobili presenti nelle vicinanze della città, e bisogna cambiare la normativa regionale sui terreni agricoli, rendendoli edificabili.
( Salvo per i paesi a vocazione agricola o montani ), i regolamenti edilizi e le normative, non permettono l’edificazione sui terreni non urbani, ma autorizzano il frazionamento in migliaia di piccoli lotti in caso di successioni, donazioni, con successiva voltura catastale, un controsenso di logica economica. Il Comune ha il potere decisionale per modificare il grave errore tecnico normativo intercedendo con la Regione.
Il territorio comunale, per mezzo del Piano Regolatore Generale (PRG) o dell’analogo strumento urbanistico vigente, è suddiviso in Zone Territoriali Omogenee (ZTO), che secondo quanto definito dal Decreto Interministeriale del 2 aprile 1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967”, si possono distinguere in:
Zone A
zone del territorio comunale che comprendono parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
Zone B
zone del territorio comunale che comprendono le parti di territorio totalmente o parzialmente edificate diverse dalle zone A in cui l’indice di densità territoriale di ciascuna zona enucleata non sia inferiore ad 1,5 mc/mq;
Zone C
zone del territorio comunale che comprendono le parti di territorio destinate a nuova edificazione per la realizzazione di manufatti ad uso residenziale o direzionale o ricettivo o extralberghiero, l’intervento è ammissibile previa redazione di uno strumento urbanistico esecutivo che ha carattere obbligatorio, di iniziativa pubblica o privata o a cura dei soggetti attuatori di progetti di edilizia sovvenzionata e convenzionata secondo gli indici urbanistici e i modelli tipologici di progetto indicati negli strumenti urbanistici esecutivi che hanno carattere obbligatorio, redatti per iniziativa pubblica e privata;
Zone D
zone del territorio comunale che comprendono le aree destinate alle attività produttive, non agricole, a valenza varia;
Zone E
zone del territorio comunale che comprendono aree agricole in cui si manifestano le colture in modo variamente articolato;
Zone F
zone del territorio comunale che comprendono gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale.
Il Testo Unico per l’Edilizia D.P.R. n. 380/2001 al capo II specifica quali interventi edilizi sono subordinati al permesso di costruire (Legge n. 10 del 1977, art. 1; legge 28 febbraio 1985, n. 47, art 25, comma 4) demandando alle regioni il potere di individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. I comuni grazie al D.P.R. 380/2001 in sollecito alla Regione possono cambiare alcuni decreti, e normative vigenti, il primo secondo nostro progetto e proposta: Veto di frazionamenti in lotti inferiori di un ettaro (10.000 mq) su terreni agricoli; il secondo: I lotti di 10.000mq possono essere edificati per realizzare ville e dimore di lusso con obbligo di produttività dei terreni, i benefici sarebbero multipli. La proposta del nostro studio sarà a breve approfondita e studiata con gli enti preposti, Comune, Regione, Uffici Catastali.
Definendo dunque il permesso di costruire come titolo autorizzativo rilasciato dal Comune di riferimento e necessario per eseguire interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia all’interno di quest’ultimo, il permesso di costruire occorre richiederlo per:
interventi di nuova costruzione;
interventi di ristrutturazione urbanistica,
interventi di ristrutturazione edilizia che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportano modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, o, se si tratta di immobili compresi nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d’uso, nonché interventi che comportano modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli.
(Terreno agricolo). Quest’ultimo, oggetto della nostra analisi, viene espresso come: n*m3/m2
dove
n = indice di edificabilità definito dal Comune;
m3 = metri cubi che da realizzare;
m2 = metri quadri.
Dato che, generalmente, si conoscono i metri quadri del terreno in questione e l’indice è fornito dal Comune, per calcolare quanti metri cubi si possono costruire basta fare la seguente operazione:
m3 = n*m2
Benché questo calcolo possa fornire un’idea di massima, l’esatta cubatura edificabile non è sempre di così facile stima. Infatti, spesso sussistono diversi fattori a complicare la situazione, come i parametri riferiti alla zonizzazione territoriale presenti nel D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (distanze minime tra edifici, l’altezza massima, ecc).
Anche nel caso in cui si posseggano i titoli richiesti e si riesca ad ottenere il Permesso di Costruire sul proprio lotto agricolo, l’attività edificatoria è estremamente ridotta e, per legge nazionale, è stabilito un limite massimo e inderogabile con indice di edificabilità a fini di insediamento residenziale pari a 0,03 metri cubi per metro quadro.
Esempio pratico: un fondo agricolo di 10.000 m2 in cui l’indice di fabbricabilità sia massimo, ovvero di m3 0,03 per m2.
Applicando la formula vista prima: 0,03*10.000 = 300 m3.
Considerando un piano unico ed un soffitto alto circa 2,7 m, su questo lotto si può costruire all’incirca una casa con superficie di 112 m2.
Pochi sanno. L’articolo 9 della L. Bucalossi esenta dal pagamento del contributo concessorio, commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153. L’imprenditore agricolo professionale (che esercita da più di tre anni) può beneficiare della detrazione degli oneri di urbanizzazione, inoltre se intende demolire un edificio su un terreno agricolo di cui è proprietario, affittuario o abbia altri diritti minori, ha il beneficio di ricostruirlo ampliandolo per un’entità superiore al 20%, come consentito dal Piano casa. Poca cosa per poter comunque realizzare una villa di lusso per abitarci con la propria famiglia.
Da questa situazione particolare non abbiamo potuto che focalizzare l’attenzione sui tantissimi caseggiati abbandonati in tutto il territorio, che possono essere rivalutati e trasformati immediatamente in ville e dimore di lusso. (Perché non utilizzare da subito quello che i nostri avi hanno costruito).
Il nostro territorio è pieno di ville anche in stile Liberty, e alcuni del 1400 in stato di abbandono, dimenticati, coperti dalle erbacce, collabenti, diroccati, che aspettano solo di tornare allo splendore di un tempo, un patrimonio immobiliare di rispetto tutto da riscoprire e salvaguardare, con un investimento d’acquisto di poche migliaia di euro.
Bisogna fondere queste due esigenze, la richiesta da parte di facoltose famiglie che non possono costruire (per ora) sui terreni agricoli ville e dimore di lusso, e l’eccesso di immobili antichi abbandonati alcuni unici al mondo presenti nel territorio.
Trasformare antichi immobili esistenti abbandonati in ville di lusso ha solo vantaggi, il primo non consumare il suolo, il secondo acquisti di interi caseggiati a prezzi bassissimi, il terzo l’utilizzo immobiliare esistente, il quarto lavoro a soggetti terzi di custodia, cura del verde e piscina di pertinenze alle ville, il quinto riqualificazione della zone limitrofe alla città in contesti storici-artistici-paesaggistici molte volte di valore inestimabile, il sesto l’allontanamento dagli assembramenti urbani. E’ possibile tra l’altro utilizzare il Sismabonus che andrebbe a coprire fino a 96.000 euro per unità abitativa.
Oggi bisogna sicuramente con ogni mezzo incentivare con detrazioni fiscali comunali (e statali) chi acquista, ricostruisce e stabilisce la propria residenza stabilmente in immobili antichi e li riqualifica in ville e dimore di lusso, si possono utilizzare pure fondi UE (Recovery Fund), ma questa è un’altra cosa.
Per tale motivo concludo, nell’aspettare i lunghi tempi della politica per potere costruire su terreni agricoli, utilizziamo i fabbricati storici non urbani siti in prossimità della periferia per realizzare ville e dimore di lusso in linea con le più rinnovate città europee (New living in luxury villa).