“Quando mi chiedono chi sarà il candidato alla presidenza della Regione – ha spiegato Faraone – credo sia indispensabile che ci sia la coerenza con il percorso nazionale di Renzi. Ho la sensazione che stiamo andando con un passo più lento rispetto alle riforme di Roma. Nonostante avremmo la possibilità di definire le candidature con indicazioni da Roma, non lo vogliamo. Abbiamo strutturato il nostro percorso vincendo o perdendo le primarie come strumento di selezione della classe dirigente e credo che sia lo strumento con cui dovremo scegliere il prossimo candidato della Regione”, afferma il Sottosegretario all’Istruzione.
“Solo in quel momento avremo un candidato che si misurerà. Io non potrò impedire a nessuno di candidarsi alla presidenza della Regione. Crocetta stesso potrà rivendicare di aver fatto bene e quindi presentare il suo progetto. Ci potranno essere altri del Pd o di altre forze politiche che potranno partecipare”.
Ma, chiarisce Faraone, “noi ci saremo nello stesso spirito che abbiamo avuto in questi anni, coerente e lineare con ciò che Matteo Renzi ha fatto a Roma”.
Ma certamente si dovrà aspettare un passaggio.
“Il referendum non è un passaggio secondario. Se vince il Si o il No cambia tutto”, ammette. “Il referendum è uno spartiacque tra un sistema politico e un altro. Si può tornare indietro al sistema proporzionale, la preferenza unica e i partiti al 2% che determinano le condizioni, spazzando via tutto quello che abbiamo costruito in due anni di profonda innovazione”.
“La mia impostazione sta dentro un sistema di innovazione, una spinta al bipartitismo, alla selezione della classe dirigente con strumenti democratici. Quello lì, invece, è un altro film, con cui torniamo alla televisione in bianco e nero. E’ un film che non vorrei mai vedere ma è possibile. Quindi aspettiamo il referendum e poi tutto sarà più chiaro”.
Tra i tanti spunti non è mancata la domanda sull’antimafia, in un momento nero che la sta attraversando.
“Siccome non voglio perdere la parola antimafia in Sicilia, dove siamo stati quelli che abbiamo costruito un percorso virtuoso, donne e uomini che hanno costruito anticorpi alla mafia. La legislazione sui beni confiscati, il 41 bis, sono cose nate da donne e uomini di questa terra. Questo patrimonio lo voglio preservare. Il dramma è che a fianco costruiamo l’abbattimento di quel patrimonio. Siamo stati la terra in cui abbiamo abusato della parola antimafia, mettendo in discussione tutto quello che avevamo costruito. E mi riferisco in particolare al terreno progressista e democratico, in quel terreno si è giocato tutto: la nascita e la morte. Quindi il tema è che abbiamo il dovere di tenere in piedi quella parola, che descriva un percorso di contrasto alla mafia, ma al tempo stesso bisogna buttare a mare chi ha utilizzato quella parola per fare fortune politiche e professionali e questo ritengo sia un dovere. Non voglio più trovarmi in imbarazzo che quando sento una persona che denuncia il pizzo, non devo interrogarmi neanche un secondo a pensare se stia dicendo una cosa vera o meno. Io oggi prima di fare una telefonata di solidarietà a qualcuno ci penso dieci volte, immaginatevi se questo sia normale”.