Il decreto sicurezza è ora legge. Con 396 sì e 99 no la Camera ha approvato il provvedimento che era già stato licenziato dal Senato. Esulta il ministro dell’Interno, Matteo Salvini: “Sono contento, è una giornata memorabile. Sono felice e soddisfatto” per l’approvazione del decreto sicurezza .
Il decreto mette insieme quelli che inizialmente dovevano essere due testi separati: il decreto sicurezza e il decreto immigrazione, riunificati in un unico decreto (il “decreto sicurezza” o “decreto Salvini” su cui si è votata martedì la fiducia) così da renderne più agevole l’approvazione e la conversione in legge.
La parte del decreto che ha suscitato maggiori discussioni è quella sull’immigrazione, che è anche la più corposa. L’elenco di disposizioni è molto lungo, ma le norme vanno tutte più o meno nello stesso senso: rendere più difficile ai richiedenti asilo restare in Italia, più facile togliere loro lo status di protezione internazionale, in particolare se hanno commesso reati e infine risparmiare sulla gestione della loro presenza in Italia, anche a costo di peggiorarne le condizioni di vita.
Il punto principale del decreto è la cancellazione dei permessi di soggiorno umanitari, una delle tre forme di protezione che potevano essere accordate ai richiedenti asilo (insieme all’asilo politico vero e proprio e alla protezione sussidiaria). La protezione umanitaria, come veniva spesso chiamata, durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto il decreto introduce una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno.
Il decreto aumenta il tempo massimo nel quale gli stranieri possono essere “trattenuti” (cioè obbligati a rimanere) nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) da 90 a 180 giorni. Per effettuare più rapidamente i rimpatri, il decreto stabilisce anche un moderato incremento di fondi: 3,5 milioni di euro in tre anni. Calcolando che un rimpatrio costa, a seconda delle stime, tra i 4 e i 10 mila euro in media, significa che queste risorse aggiuntive permetteranno al massimo di effettuare 875 rimpatri in più nell’arco di tre anni.
Viene poi allungata la lista dei reati che comportano il ritiro della protezione internazionale (come ad esempio omicidio o gravi reati di droga) che dall’approvazione del decreto è passata a includere anche minaccia o violenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e gravissime, pratiche di mutilazione dei genitali femminili, furto aggravato, furto in abitazione e furto con strappo. Inoltre, lo status di protezione internazionale viene ritirato se il rifugiato ritorna, anche temporaneamente, nel suo paese d’origine.
Un’altra parte molto criticata del decreto è quella che depotenzia il sistema SPRAR, l’accoglienza diffusa (come spesso viene chiamata) gestita dai comuni che serve a fornire ai richiedenti asilo corsi di lingue e altri percorsi di integrazione. Il sistema sarà limitato a coloro che hanno visto accogliere la loro domanda di protezione internazionale, non potranno più invece prendervi parte coloro che sono ancora richiedenti. Questi ultimi saranno quindi trasferiti nei centri di accoglienza ordinari, dove attenderanno le decisioni sulle loro domande senza svolgere particolari attività o corsi.
Viene infine introdotta la possibilità di revocare la cittadinanza italiana per le persone che sono ritenute un pericolo per lo stato. La Corte Costituzionale, però, considera la cittadinanza tra i diritti inviolabili e questa disposizione rischia di essere considerata incostituzionale.