Cittadini di MIlena, Cittadini di Mussomeli, Collettivo Letizia, Meetup San Cataldo 5 Stelle, No Serradifalko, WWF Sicilia Centrale , scrivono: Alle ore 1:23:45 (ora locale) del 26 aprile 1986, a Chernobyl, in territorio ucraino, esplode il reattore numero 4. Dalla centrale fuoriuscirono 50 tonnellate di materiale radioattivo (equivalenti all’esplosione di 10 bombe atomiche) che coinvolsero 5 milioni di persone e 5 mila villaggi.
L’anno successivo al disastro ucraino l’Italia indice tre referendum sul nucleare e l’80% dei votanti dice no. Il paese abbandona definitivamente il programma nucleare e così Goria, De Mita e Andreotti, con i loro rispettivi governi (1988-89-90), pongono fine all’esperienza nucleare con la chiusura delle tre centrali ancora funzionanti di Latina, Trino e Caorso.
Tutte queste centrali, unitamente ai loro combustibili ritrattati o meno, passano nel 1999 ad una società del gruppo ENEL: la SO.G.I.N. S.p.A. (Società Gestione Impianti Nucleari), che coinvolge le imprese Fincantieri, Ansaldo, Duferco e Camozzi. Il problema non si esaurisce con la chiusura delle centrali, che più che chiuse sono in custodia protetta passiva. E’ necessario pensare all’allocazione definitiva delle scorie che si sono prodotte.
Cosa fare dei 23.500 metri cubi di scorie di II categoria e dei 1.500 di III categoria? A questo bisogna aggiungere i rifiuti di ritorno in Italia ritrattati in Inghilterra e quelli che dovranno essere ancora ritrattati in Francia ma ancora stoccati in Italia, nonché i rifiuti provenienti dalle attività di smantellamento delle centrali (30-60.000 metri cubi). Inoltre è bene ricordare che ospedali e aziende producono ogni anno circa 1.000 metri cubi di nuove scorie. Insomma, un bel casino.
Bisogna aspettare il 2003 per capire se in Italia esiste un sito idoneo a divenire deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi, allorquando la SO.G.I.N. S.p.A. pubblica i risultati di uno studio per la localizzazione di un sito-deposito.
In prima fase vengono censiti 45 giacimenti saliferi, di cui 36 in Sicilia, 6 in Calabria, e 1 rispettivamente in Basilicata, Lazio e Toscana.
Dopo tre livelli di verifica, rimane in corsa soltanto Scanzano Jonico, ma il popolo lucano è da tempo in rivolta. Non vuole le scorie dietro casa, non vuole che il suo territorio diventi la pattumiera nucleare dell’Italia. Chi vorrebbe una cosa del genere dietro casa? E la paura dei residenti è fondata, non è solo un’ipotesi. C’è già un decreto-legge emanato il 13 novembre 2003 dal Consiglio dei Ministri (Governo Berlusconi-II) che prevede la costruzione da quelle parti di un deposito unico nazionale, proprio sulla base degli studi esperiti dalla SO.G.I.N. S.p.A.. Ma il colpo di mano non riesce, almeno fino ad oggi, e ciò grazie alla mobilitazione dei lucani e dei tanti italiani che volontariamente via via hanno ingrossato le fila.
Ma la necessità di un sito di stoccaggio dei rifiuti radioattivi prodotti in territorio nazionale è comunque pressante e allora, abbandonato il progetto di un sito minerario quale deposito, ci si orienta verso una struttura ingegneristica di superficie. Così, dopo anni di silenzio, si arriva con il Governo Berlusconi IV alla pubblicazione del Dlg n. 31 del 15 febbraio 2010, che alla lettera <<d>> dell’art. 1 fa riferimento alla “localizzazione del Deposito nazionale, connesso ad un Parco Tecnologico comprensivo di un Centro di studi e sperimentazione, destinato ad accogliere i rifiuti radioattivi provenienti da attività pregresse e future di impianti nucleari e similari, nel territorio nazionale”.
In accordo a quanto stabilito all’art. 27 del sopracitato decreto, il 2 gennaio 2015 la SO.G.I.N. S.p.A. trasmette all’ISPRA la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) alla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del relativo Parco Tecnologico, redatta tenendo conto dei criteri stabiliti nella Guida Tecnica n. 29 dell’ISPRA, “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti radioattivi di bassa e media attività”, e dei criteri riportati nelle raccomandazioni della IAEA.
Il 13 marzo 2015 l’ISPRA consegna al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e al Ministero dello Sviluppo Economico (Governo Renzi) la relazione di verifica e validazione della proposta della SO.G.I.N. S.p.A., prevista dal sopra citato D.Lgs n. 31/2010, ai fini dei successivi adempimenti stabiliti dallo stesso decreto legislativo riguardanti il rilascio, entro i successivi 30 giorni, alla SO.G.I.N. S.p.A. da parte dei suddetti Ministeri del nulla osta alla pubblicazione della CNAPI, così da avviare il processo di consultazione e partecipazione pubblica, anch’esso previsto dal medesimo decreto legislativo.
Ma a seguito di interlocuzioni avvenute tra l’ISPRA, il Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare e il Ministero dello Sviluppo Economico, si arriva al 29 marzo del 2018 (Governo Conte) allorquando l’ISPRA trasmette ai due Ministeri sopra citati una nota di riscontro ai chiarimenti richiesti, confermando la validità della proposta di CNAPI in precedenza consegnata e concludendo, con ciò, le proprie valutazioni tecniche al riguardo.
La proposta di CNAPI, rimasta secretata fin dal 2015, prevede in definitiva 67 siti, idonei a vari livelli alla realizzazione del Deposito Nazionale. L’attuale Governo ha dato seguito al comma 7 dell’art. 27 del Dlg. 13/2010, che nella fattispecie specifica che “…entro trenta giorni dall’approvazione della Carta, la Sogin SpA deve invitare le Regioni e gli enti locali delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Deposito Nazionale a comunicare il loro interesse ad ospitare il Deposito stesso e avviare trattative bilaterali finalizzate al suo insediamento, da formalizzare con uno specifico protocollo di accordo….”.
Naturalmente i 67 siti sono stati scelti sulla base di una composita griglia di criteri, che tenesse conto di puntuali valutazioni geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, sismiche, paesaggistiche. ecc.. 12 Aree, aventi caratteristiche “molto buone”, sono elencate in classe A1; 11 con caratteristiche “buone” in classe A2; 15 Aree, dette “insulari”, in classe B e infine 20 Aree, individuate in zona sismica 2, sono riportate in classe C.
Delle quattro aree siciliane, una è in classe B e precisamente la CL 18 ricadente in territorio di Butera e prossima a Riesi, mentre le rimanenti rientrano in classe C, di cui due in territorio di Trapani (TP9 eTP11) e una in territorio di Palermo (PA15). Quest’ultima, pur ricadendo in territorio di Petralia Sottana è prossima ai comuni di Villalba, Marianopoli e Resuttano.
Sulla base di questa preziosissima ricostruzione, tecnica e storica , del processo di individuazione dei siti, esprimiamo le nostre valutazioni.
È incredibile come una società pubblica, finanziata con fior di milioni, possa esitare un piano così facilmente criticabile. Guardiamo ai siti siciliani: ma davvero se ne può individuare uno vicino a un’area segnata da grandi eventi sismici? O forse è più “ gradevole “ individuarne uno dirimpettaio di una riserva naturale orientata? O un altro che guarda compiaciuto alla bellezza delle Madonie?
Sì, non ci sfugge come siti siciliani individuati siano quelli ritenuti meno idonei, dallo stesso studio proponente. Ma non possiamo fermarci a questa considerazione.
La considerazione globale è che il Sud, anziché di scorie ( di qualsiasi genere…) ha bisogno di investimenti, se davvero vogliamo fare l’Italia, processo del quale si gioverebbe non solo il tacco ma l’intero stivale.
Ciò in un’ottica di economia che guardi al bene comune e non alla semplice salvaguardia dei privilegi acquisiti dai pochi, a scapito dei tanti e con metodi da noi certamente non accettabili.
E non per fare dello stupido campanilismo, dal quale ci sentiamo lontani anni luce, è davvero pensabile che fra le regioni del Nord ( territorio che non sentiamo come “ altro “ ) solo il Piemonte abbia siti individuabili allo scopo?
O la società ha saputo “ rispondere “ a precise richieste dei “ committenti “ ?
Che l’Italia debba dotarsi di un sito per le scorie nucleari non vi è dubbio e, al riguardo, ci si compiace del “ coraggio “ di un governo che ha saputo tirar fuori dai cassetti un “ segreto “ da anni tenuto in una profonda cava. Certamente il pubblico dibattito, soprattutto con le realtà locali interessate, è la via maestra per quella che in ogni caso sarà una dolorosa scelta.
Una scelta non politicamente, ma tecnicamente orientata